Il canone unico patrimoniale è una prestazione imposta non tributaria.
Il Tar Lombardia conferma il filone giurisprudenziale che individua nel canone unico patrimoniale una prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art. 23 della Costituzione. La pronuncia si sofferma sul contenuto fondamentale della disciplina delle prestazioni imposte che deve necessariamente essere recato da una fonte normativa di rango primario.
Sul punto, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha avuto modo di precisare che la legge, o un atto avente pari forza, deve necessariamente individuare il presupposto applicativo della prestazione patrimoniale imposta, il soggetto che della stessa è gravato, i criteri generali necessari alla quantificazione del dovuto, nei termini che in seguito verranno precisati.
La Corte, in particolare, ha affermato che: «la riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione è soddisfatta purché la legge (anche regionale: sentenze n. 64 del 1965, n. 148 del 1979, n. 180 del 1996, n. 269 del 1997) stabilisca gli elementi fondamentali dell’imposizione, anche se demanda a fonti secondarie o al potere dell’amministrazione la specificazione e l’integrazione di tale disciplina» (Corte Costituzionale, 28 dicembre 2001, n. 435); più specificamente, la legge dovrà necessariamente individuare compiutamente il soggetto e l’oggetto della prestazione imposta, «mentre l’intervento complementare ed integrativo da parte della pubblica amministrazione deve rimanere circoscritto alla specificazione quantitativa (e qualche volta, anche qualitativa) della prestazione medesima: senza che residui la possibilità di scelte del tutto libere e perciò eventualmente arbitrarie della stessa pubblica amministrazione, ma sussistano nella previsione legislativa – considerata nella complessiva disciplina della materia – razionali ed adeguati criteri per la concreta individuazione dell’onere imposto al soggetto nell’interesse generale.
In sintesi, relativamente all’art. 23 della Costituzione si è affermato che: «tale parametro – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – prevede una riserva a carattere relativo, la quale non esige che la prestazione sia imposta “per legge” (da cui risultino espressamente individuati tutti i presupposti e gli elementi), ma richiede soltanto che essa sia istituita “in base alla legge” (v. sentenze nn. 236 e 90 del 1994). Sicché la norma costituzionale deve ritenersi rispettata anche in assenza di un’espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a circoscrivere l’àmbito di discrezionalità della pubblica amministrazione, purché gli stessi siano desumibili dalla destinazione della prestazione, ovvero dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne la misura (v. sentenze n. 182 del 1994 e n. 507 del 1988), secondo un modulo procedimentale idoneo ad evitare possibili arbitri» (Corte Costituzionale, 31 maggio 1996 n. 180).
In conclusione, il legislatore primario dell’art. 1 commi 816 e ss, L. 160/2019 ha compiutamente assolto al compito, ad esso attribuito dall’art. 23 della Costituzione, di disciplinare gli elementi essenziali della prestazione patrimoniale imposta e di delimitare il potere attuativo dell’Amministrazione nella quantificazione del canone, con conseguente manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale qui in esame.
In merito alle competenze si ritenere radicata proprio in capo alla giunta municipale la potestà definitoria delle tariffe del C.U., in virtù delle previsioni di cui al Testo unico degli enti locali (D. Lgs. 267/2000).
Invero, l’art. 42 comma 2, lettera f, del Decreto Legislativo 18 agosto 2000 n. 267, nell’individuare le competenze del consiglio comunale, menziona: «f) istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi». La determinazione dell’aliquota della prestazione imposta, e dunque del criterio di immediata commisurazione del quantum dovuto (nella fattispecie da identificarsi nelle tariffe quantificative del canone), non è dunque riservato al Consiglio; la relativa individuazione deve dunque ritenersi attribuita alla Giunta Municipale, quale organo a competenza residuale ai sensi dell’art. 48 comma 2 D. Lgs. 267/2000.
Orbene, dalla disamina teleologica e sistematica della norma emerge in modo evidente che il criterio individuato dal legislatore primario per la quantificazione della prestazione imposta al privato risponde alla necessità di valorizzare l’impatto visivo del messaggio, l’efficacia comunicativa dello stesso, determinata secondo criteri di carattere oggettivo (come lo è la dimensione del pannello, non invece il contenuto dell’annuncio). La modalità luminosa di trasmissione del messaggio rende, obiettivamente, maggiormente impattante la pubblicità, donandole in termini fattualmente verificabili una capacità attrattiva notevolmente accresciuta. Si appalesa dunque ragionevole, e coerente con l’impostazione sistematica della norma primaria, l’applicazione, a tale fattispecie, di una tariffa maggiorata.