In caso di adozione degli strumenti di definizione agevolata si pone il problema della congrua motivazione del condono. La necessarietà della motivazione deriverebbe non solo dai principi di trasparenza e di democraticità dell’azione amministrativa, i quali impongono la puntuale illustrazione delle ragioni fondanti le scelte amministrative da intraprendere, ma anche dalla riduzione del gettito fiscale, correlato ai tributi interessati.
Le ragioni del condono potrebbero essere collegate alla necessità di “fare cassa”, cioè reperire immediate risorse finanziarie.
Nella sentenza 14101/2023 la Cassazione conferma che l’istituto della definizione agevolata delle liti pendenti non è obbligatorio per il Comune. In base all’art. 5, comma 15 della legge 130/2022 “Ciascun ente territoriale stabilisce, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti, l’applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte il medesimo ente o un suo ente strumentale”, i Comuni hanno una mera facoltà, come tale discrezionale, di aderire alla definizione agevolata delle controversie nelle quali sono coinvolti.
Del resto, il legislatore, se avesse voluto (criterio della intentio legis) favorire a tutti i costi la detta definizione, anche con il rischio di pregiudicare le entrate degli enti pubblici territoriali, lo avrebbe dovuto dire esplicitamente. A fronte di questa discrezionalità, si potrebbe porre, semmai, il problema di una congrua motivazione del condono. In altri termini, non essendosi in presenza di un condono obbligatorio, cioè previsto e disciplinato dal legislatore nazionale, ma essendo tale facoltà conferita all’ente, si potrebbe porre il problema di individuare ed esternare le ragioni di pubblico interesse giustificanti la decisione. La necessarietà della motivazione deriverebbe non solo dai principi di trasparenza e di democraticità dell’azione amministrativa, i quali impongono la puntuale illustrazione delle ragioni fondanti le scelte amministrative da intraprendere, ma anche da un’altra questione. È evidente che la decisione di procedere al condono comporterebbe, in termini teorici e forse anche pratici, una conseguente riduzione del gettito fiscale, correlato ai tributi interessati. Tale riduzione potrebbe far configurare, in capo ai soggetti decisori pubblici, una responsabilità amministrativa, sindacabile da parte della Corte dei Conti, la quale potrebbe essere evitata solo attraverso una rigorosa esposizione delle ragioni di pubblico interesse, sottese alla decisione.
Le ragioni del condono potrebbero essere collegate alla necessità di “fare cassa”, cioè reperire immediate risorse finanziarie, specialmente in un esercizio giudicato forse avaro di trasferimenti erariali e, allo stesso tempo, potrebbe essere uno strumento per assicurarsi un aumento del gettito per gli anni futuri inscrivendo nella propria anagrafe tributaria contribuenti assolutamente nuovi. In secondo luogo, ai fini giustificativi, potrebbe farsi ricorso all’eventuale scarsa efficacia della lotta all’evasione ed all’elusione dei tributi locali, misurata e manifestata dal livello delle riscossioni effettive sugli atti di accertamento emessi. Inoltre, la presenza di un elevato contenzioso, cioè di un alto numero di controversie pendenti davanti alle Commissioni Tributarie, sia Provinciali che Regionali, o, caso meno frequente, in Cassazione, potrebbe costituire valido motivo per procedere alla definizione.